Rivoluzione fascista

Mussolini il 30 ottobre 1922, dopo la marcia su Roma, ricevuto a Roma da Vittorio Emanuele III per il conferimento dell'incarico di formare un nuovo governo; dietro di lui si nota Italo Balbo

La locuzione rivoluzione fascista è stata utilizzata da intellettuali ed esponenti politici del fascismo per definire gli anni della nascita e della presa del potere da parte del fascismo in Italia e i progressivi mutamenti istituzionali che portarono da un regime liberale a quello totalitario. È stata ripresa dalla storiografia a partire dagli anni settanta del XX secolo[1] non più a scopo celebrativo, ma come definizione dei caratteri di rottura che il fascismo ebbe sulla società italiana.

Storia

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Il sansepolcrismo e la marcia su Roma

Lo stesso argomento in dettaglio: Fascio d'azione rivoluzionaria, Sansepolcrismo e Marcia su Roma.

Già nel dicembre 1914 con la fondazione a Milano del movimento Fascio d'azione rivoluzionaria patrocinato da Benito Mussolini (il mese precedente già fondatore de Il Popolo d'Italia) e Alceste de Ambris, legato al mondo degli interventisti, sindacalista rivoluzionario e autore poi della Carta del Carnaro (che ispirerà la fascista Carta del Lavoro) durante l'impresa di Fiume con Gabriele D'Annunzio (1919-1920), si posero le basi di un movimento rivoluzionario interventista, a cui aderirono personalità come Filippo Corridoni, sindacalista nazionale e rivoluzionario.

Al termine della prima guerra mondiale, il processo riprese attivamente e, nell'area interventista si coagulò attorno alla figura di Mussolini un nuovo movimento, fondato a Milano il 23 marzo 1919 durante l'adunata di piazza San Sepolcro dalla confluenza di sindacalisti nazionali, futuristi che si proclamavano rivoluzionari come Marinetti, arditi e altri ex combattenti: erano i Fasci italiani di combattimento.

Il Manifesto pubblicato su "Il Popolo d'Italia"

Il manifesto dei Fasci italiani di combattimento, fu ufficialmente pubblicato su Il Popolo d'Italia il 6 giugno 1919.

Definitosi "rivoluzionario" nell'incipit viene: «Ecco il programma nazionale di un movimento sanamente italiano. Rivoluzionario, perché antidogmatico e antidemagogico; fortemente innovatore perché antipregiudizievole. Noi poniamo la valorizzazione della guerra rivoluzionaria al di sopra di tutto e di tutti»[2] proponeva una "rivoluzione nazionale" che portasse al governo della nazione una nuova classe dirigente formata principalmente dai "combattenti" della Grande guerra delusi dalla "vittoria mutilata" presenti in maniera trasversale in tutti i partiti[3]

Destinatari del messaggio fascista furono in primo luogo ricercati nella sinistra massimalista, la quale lungi dal voler sovvertire lo Stato, portasse le proprie istanze e lo "socializzasse" dall'interno. I Fasci di combattimento sarebbero serviti a legare alcuni di questi mondi non omogenei come gli interventisti di sinistra, i futuristi, gli ex arditi, i repubblicani e i sindacalisti rivoluzionari.

Le camicie nere sfilano il 31 ottobre 1922 davanti al Quirinale, all'epoca residenza reale.

Nell'estate 1921 le prospettive mussoliniane di una soluzione negoziale del problema rivoluzionario di stampo socialista delle origini, si scontravano con quelle radicali dello squadrismo più acceso, che chiedeva invece senza mezzi termini la presa del potere attraverso un colpo di Stato. Così, nel novembre del 1921 i Fasci italiani di combattimento si trasformarono nel Partito Nazionale Fascista (PNF), combattendo al suo interno fra spinte volte a scelte rivoluzionarie ed istanze di crescita costituzionale. Gli squadristi che presero parte alla marcia su Roma furono denominati dalla pubblicistica del regime le "camicie nere della rivoluzione" e la marcia venne celebrata negli anni successivi, dagli organi di regime, come l'acme della cosiddetta "rivoluzione fascista".

Mussolini fece accenni rivoluzionari (ma anche reazionari) in numerosi suoi discorsi successivi al 1919:

«Come rivoluzione fascista l'intero secolo sta innanzi a noi.»

(Discorso nel 1923[4])

«Io sono reazionario e rivoluzionario, a seconda delle circostanze. Farei meglio a dire — se mi permettete questo termine chimico — che sono un reagente. Se il carro precipita, credo di far bene se cerco di fermarlo; se il popolo corre verso un abisso, non sono reazionario se lo fermo, anche con la violenza.»

(Benito Mussolini, discorso al convegno regionale dei Fasci lombardi, Cremona, 5 settembre 1920[5])

«Io non ho paura delle parole. Se domani fosse necessario, mi proclamerei il principe dei reazionari. Per me tutte queste terminologie di destra, di sinistra, di conservatori, di aristocrazia o democrazia, sono vacue terminologie scolastiche. Servono per distinguerci qualche volta o per confonderci, spesso.»

(Benito Mussolini, dal discorso tenuto al Senato il 27 novembre 1922[6])

Il consolidamento del potere (1925-1928)

Le cosiddette "leggi fascistissime" del 1925 (seguite al delitto Matteotti del 1924 e al discorso di Mussolini del 3 gennaio) e quelle venute fino al 1928, sulle prerogative del Capo del Governo e l'istituzione ufficiale del Gran Consiglio del Fascismo (esistente di fatto dal 1923), definiscono esplicitamente lo Stato italiano, malgrado fosse formalmente sempre una monarchia costituzionale come uno Stato nuovo, un "regime sorto dalla rivoluzione dell'ottobre 1922".[7] Con l'avvento al potere assoluto le istanze rivoluzionarie del cosiddetto "fascismo movimento" si annacquarono, al di là delle enunciazioni e già dal 1923, con la fusione con l'Associazione Nazionalista Italiana filo-monarchica, e poi nel 1929, con il concordato fra Stato e Chiesa, prevalsero gli aspetti tipici di un regime autoritario.

Curzio Malaparte in divisa da Alpino

Questo sebbene riviste come La conquista dello Stato, diretta da Curzio Malaparte, proclamarono spesso il concetto di rivoluzione fascista. I fascisti intransigenti fecero spesso riferimento alla "rivoluzione italiana dell'ottobre", per contrapporla alla rivoluzione d'ottobre, bolscevica e comunista, avvenuta in Russia nel novembre 1917. Malaparte aveva scritto nel 1923:

«La Rivoluzione d'ottobre [ndr: rivoluzione fascista del 1922] non può e non deve ripetere gli errori del Risorgimento, finito in malo modo nel compromesso antirivoluzionario del Settanta, che preparò il ritorno al potere attraverso il liberalismo, la democrazia, il socialismo, di quegli elementi borbonici, granducali, austriacanti, papalini che avevano sempre combattuto e bestemmiato l'idea e gli eroi del Risorgimento. È necessario che il Fascismo prosegua senza esitazioni il suo fatale cammino rivoluzionario.»

(da L'Impero, 18 aprile 1923[8])

Per Malaparte il fascismo fu sia una "controriforma" che rivoluzione, e i fascisti "giacobini in camicia nera", come lì definirà in Tecnica del colpo di Stato. Questo concetto di rivoluzione fascista come continuazione del processo risorgimentale era espresso nel Manifesto degli intellettuali fascisti, pubblicato il 21 aprile 1925 da Giovanni Gentile.

Il dibattito interno al fascismo

Cambio della guardia di giovani camicie nere (MVSN) davanti al palazzo della Mostra della Rivoluzione fascista; esso fu un evento celebrativo del decennale dell'avvento al potere di Benito Mussolini che si tenne per due anni esatti al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 28 ottobre 1932 al 28 ottobre 1934[9]

Una parte del fascismo si considerò sempre come un movimento rivoluzionario, trasgressivo e ribelle (emblematico in tal senso il motto dannunziano «me ne frego» ripreso e usato dalla propaganda fascista) in radicale contrasto col liberalismo dell'Italia pre-fascista.

D'altra parte, l'uso del termine "rivoluzione" da parte dei fascisti non mancò di suscitare perplessità e preoccupazione nel nazionalismo conservatore e monarchico, che più tardi sarebbe confluito nel fascismo stesso. Nelle sue memorie Raffaele Paolucci ricorda di aver incontrato Italo Balbo, capo degli squadristi di Ferrara, nell'ambito dei disordini di Modena del 1921 e di aver in quell'occasione polemizzato contro il termine "rivoluzione", al quale dava un'accezione negativa. In anni successivi alla marcia su Roma, rievocato insieme a Balbo il loro precedente confronto, Paolucci negò che la marcia su Roma fosse stata una "rivoluzione" secondo l'accezione negativa che egli aveva dato a quella parola[10]. In reazione alla professione di «tendenza repubblicana» da parte di Mussolini, Paolucci fondò i Sempre Pronti per la Patria e per il Re, organizzazione paramilitare nazionalista fedele alla monarchia, al fine di «fare da contrappeso» allo squadrismo fascista, «la cui tendenza si rivelava ogni giorno più nettamente rivoluzionaria»[11].

Secondo Sergio Panunzio, amico personale di Mussolini che ebbe su di lui una significativa influenza, il fascismo si proponeva l'intento di modificare la società italiana creando uno "stato-società" fondato sulle corporazioni, in una sorta di correzione ideologica della rivoluzione francese e del suo "stato-popolo", profondamente diverso anche dallo "stato-classe" attuato dalla rivoluzione russa[12].

Il ministro Giuseppe Bottai, nella rivista Critica fascista, già nel 1926 proclamava che il fascismo doveva restare "rivoluzione permanente"[13]. Bottai vuole edificare quella rivoluzione che la marcia su Roma, sebbene sia "il principio d'una nuova vita", non ha prodotto[14].

Negli anni 1930 con i giovani intellettuali raccolti nella rivista Primato, teorizzò un fascismo che doveva ritrovare la carica rivoluzionaria delle origini:

«conquistato il potere, il problema delle origini si ripropone in tutta la sua interezza. Questo problema è di rivoluzione intellettuale. Così noi rispondiamo agli oppositori, che tentano di gettare nel nostro cammino l'equivoco d'una rivoluzione esaurita in uno sforzo puramente muscolare e ci negano il diritto di creare la politica nuova della nuova Italia, e rispondiamo, anche, mi sia permesso affermarlo senza ambagi, a quei fascisti i quali incedono nell'equivoco antifascista dell'opposizione, quando disgraziatamente tentano di elevare a teoria aspetti superati o transeunti della nostra azione politica"[15]

Giuseppe Bottai

Bottai è uno dei più intransigenti rivoluzionari contro la corrente reazionaria (sarà anche a favore delle leggi razziali fasciste e dell'avvicinamento alla Germania nazista) e moderata — Giovanni Gentile per la seconda, Julius Evola, controrivoluzionario e tradizionalista, e i clericofascisti per la prima — anche se poi voterà assieme a Dino Grandi e Galeazzo Ciano contro Mussolini il 25 luglio 1943 all'ordine del giorno Grandi durante il Gran Consiglio, e sarà condannato a morte in contumacia dai fascisti nel 1944, cosa che eviterà fuggendo dall'Italia e arruolandosi nella legione straniera francese.

Egli, e altri, tentarono di equiparare storicamente i fascisti con giacobini della rivoluzione francese.[16]

La volontà del fascismo di incidere nella storia come una rivoluzione pari a quella francese e russa si manifestò anche con l'istituzione della cosiddetta era fascista, ossia una particolare numerazione degli anni che faceva riferimento al giorno della marcia su Roma. Il primo anno dell'era fascista (indicato accanto alla data tradizionale come I, E.F.) comincia quindi il 28 ottobre 1922 e termina il 27 ottobre 1923.[17] Il riferimento diretto era al nuovo calendario istituito dalla rivoluzione francese nel 1793, che indicava retroattivamente l'anno I a partire dal 22 settembre 1792, giorno di soppressione dell'ultimo residuo della monarchia[18]; secondo gli intellettuali "rivoluzionari" del regime il movimento fascista costituiva una moderna evoluzione della grande rivolta francese[16], riprendendo Mussolini stesso che aveva definito il fascismo come una sorta di populismo che avrebbe superato gli errori della democrazia liberale:

«Il fascismo è un metodo, non un fine; se volete, è "una autocrazia sulla via della democrazia".»

(Benito Mussolini, dall'intervista concessa all'inviato speciale Shaw Desmond del Sunday Pictorial di Londra il 12 dicembre 1926 e riportata come Mussolini rivela il suo segreto in Il Popolo d'Italia, n. 297, 14 dicembre 1926, XIII[19])

Nella Repubblica Sociale Italiana

Nel corso della seconda guerra mondiale, all'interno della Repubblica Sociale Italiana, il Partito Fascista Repubblicano, teorizzò attraverso una serie di provvedimenti radicali di attuare un fascismo rivoluzionario estrinsecato attraverso il cosiddetto Manifesto di Verona, pur non avendo i mezzi materiali, gli uomini e il controllo del territorio necessari per attuare questi stessi provvedimenti. Molti lo considerarono un ritorno al sansepolcrismo, altri non aderirono. Come detto, Mussolini si era già vantato di passare in un regime di democrazia illiberale plebiscitaria e autoritaria, che raggiunse tratti di totalitarismo, per giungere, tramite il consenso di massa, all'instaurazione di forme nuove di governo popolare. Lo stesso duce, poi, come riportato da Yvon De Begnac, giornalista e scrittore italiano, biografo ufficiale di Benito Mussolini tra il 1934 ed il 1943, ebbe a dichiarare, tentando di sganciarsi dai conservatori e dal populismo di destra, identificandosi invece con una forma di nazionalismo di sinistra:

«Mi rifiuto di qualificare di destra la cultura cui la mia rivoluzione ha dato origine.»

(Mussolini, citato da Yvon De Begnac, Taccuini Mussoliniani)

Bandiera di guerra con aquila e fascio littorio adottata nel 1944 dalla RSI

Nel 1944 al processo di Verona alcuni dei protagonisti della marcia, come De Vecchi e Grandi, sarebbero stati accusati di "aver tradito la rivoluzione fascista" tentando accordi con Facta e Salandra. Mussolini stesso, nei suoi ultimi mesi, ripropose in discorsi, intervisti e scritti i suoi cavalli di battaglia "rivoluzionari" di gioventù, ripresi dal sansepolcrismo, e nuovamente sanciti dalla Carta di Verona: il corporativismo e le, mai attuate, socializzazione dell'economia, cogestione e democrazia organica (presente nella bozza di Costituzione della Repubblica Sociale Italiana).

Il punto principale, la socializzazione delle imprese, vista con sospetto e boicottata dalla Germania nazionalsocialista, venne disposta inizialmente con il D.Lgs. 12 febbraio 1944, n. 375 alla firma di Mussolini unita a quelle di Giampietro Domenico Pellegrini e Piero Pisenti. Per diretta conseguenza il compito venne assegnato al ministro dell'Economia corporativa l'ingegner Angelo Tarchi, che si insediò nella sede del ministero a Bergamo. Il 20 giugno 1944, ossia appena quattro mesi dopo il decreto legislativo, il dirigente della federazione fascista degli impiegati del commercio Anselmo Vaccari in un rapporto diretto a Mussolini riportò quanto segue: «I lavoratori considerano la socializzazione come uno specchio per le allodole, e si tengono lontano da noi e dallo specchio. Le masse ripudiano di ricevere alcunché da noi».[20]

L'attuazione integrale della socializzazione era prevista per il 25 aprile 1945.[21] Mussolini si lasciò andare a considerazioni utopiche su un mondo socializzato, punto d'arrivo dei vari socialismi nazionali rivoluzionari (tra cui Mussolini includeva anche il nazionalsocialismo tedesco) nella sua ultima intervista di alcuni giorni prima[22]:

«Lasciate passare questi anni di bufera. Un giovane sorgerà. Un puro. Un capo che dovrà immancabilmente agitare le idee del Fascismo. (…) Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno. Ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi affaristi e degli speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la possibilità di vivere. Se le vicende di questa guerra fossero state favorevoli all'Asse, io avrei proposto al Führer, a vittoria ottenuta, la socializzazione mondiale. La socializzazione mondiale, e cioè: frontiere esclusivamente a carattere storico; abolizione di ogni dogana; libero commercio fra paese e paese, regolato da una convenzione mondiale; moneta unica e, conseguentemente, l'oro di tutto il mondo di proprietà comune e così tutte le materie prime, suddivise secondo i bisogni dei diversi paesi; abolizione reale e radicale di ogni armamento.»

(Intervista del 20 aprile 1945 a Gian Gaetano Cabella[22])

Nel suo ultimo discorso pubblico, ripropose il repubblicanesimo del 1919 come una fondamentale conquista da ottenere per tutta l'Italia:

«Noi vogliamo difendere, con le unghie e coi denti, la valle del Po; noi vogliamo che la valle del Po resti repubblicana in attesa che tutta l'Italia sia repubblicana.»

(Cosiddetto discorso della riscossa, 16 dicembre 1944, Teatro Lirico di Milano)

Nicola Bombacci all'epoca della RSI

Tutte queste posizioni, riprese in chiave anti-usura e anti-finanziaria, erano condivise anche dal poeta americano residente in Italia Ezra Pound. Nicola Bombacci fu poi un altro intellettuale che apportò un'importante contributo al concetto di rivoluzione fascista; egli era uno dei fondatori del Partito Comunista d'Italia nel 1921, dopo aver partecipato alla rivoluzione russa, poi avvicinatosi a Mussolini negli anni 1930, e aderì in forma attiva alla RSI finendo fucilato dai partigiani a Dongo come traditore (le sue ultime parole furono forse "viva il Socialismo"); il suo corpo fu appeso in piazzale Loreto a Milano accanto al duce, a Clara Petacci e ai gerarchi fucilati. Bombacci dichiarò il suo sentirsi un vero "rivoluzionario" anche nel suo ultimo mese di vita, utilizzando anche l'appellativo "compagni" anziché "camerati":

«Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l'amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all'avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell'inganno.»

(Nicola Bombacci, il 15 marzo 1945 a Genova, discorso rivolto alle camicie nere[23])

«Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini che è socialista anche se per vent'anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito… ma ora Mussolini si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno di voi lavoratori per creare il nuovo Stato proletario.»

(Nicola Bombacci[24])

Influenza del concetto all'estero e nel dopoguerra

Il generale Juan Domingo Perón passò un periodo in Italia durante il fascismo, concependo ammirazione per il sistema economico ideato da Mussolini, rivoluzionario e anticomunista al tempo stesso.[25][26][27]

All'estero si guardò con interesse all'ideologia della "rivoluzione fascista" - oltre che nell'esperienza del nazionalsocialismo iniziale (specialmente la corrente strasserista alternativa agli hitleriani puri) - ad esempio da parte di alcuni intellettuali della révolution nationale del governo di Vichy, quali Pierre Drieu La Rochelle e Robert Brasillach, che coniò l'espressione "fascismo immenso e rosso".[28] Le tesi del "fascismo nazional-rivoluzionario", nel dopoguerra furono alla base della nuova terza via o tercera posición adottata dal peronismo argentino[29] a partire dal 1945 con la cosiddetta "rivoluzione dei descamisados"; fu presente anche in alcuni esperimenti economici attuati nella Spagna franchista e nel Portogallo salazariano.[30], oltre che nei fermenti vari della gioventù neofascista, fino ad arrivare in tempi recenti alla Nuova Destra e al nazional-anarchismo.[31][32]

Dibattito storico

Contestata dagli intellettuali antifascisti, che attribuivano al fascismo natura esclusivamente regressiva e reazionaria, la locuzione scomparve quasi completamente nei primi decenni del dopoguerra[33] per poi riemergere in campo storiografico revisionista degli anni settanta del XX secolo, dove essa è stata poi ripresa dagli studiosi comunque non fascisti - a partire da George Mosse e Renzo De Felice - nel dibattito sull'interpretazione degli elementi di rottura istituzionale e di discontinuità sociali e culturali provocati dai "fascismi" e nel confronto fra fascismo e nazismo[34]. Diversi studiosi come George Mosse, Renzo De Felice, Zeev Sternhell ed Emilio Gentile utilizzano tale locuzione. In particolare De Felice sosteneva si trattasse di una "rivoluzione conservatrice"; Gentile, suo allievo, sostiene che il fascismo fosse una "rivoluzione antropologica" radicale, tesa a formare un nuovo tipo di umanità, l'uomo nuovo.[35]

L'interpretazione del termine rivoluzione

Gli oppositori del fascismo stigmatizzarono fin da principio la pretesa squadrista di definire "rivoluzione" il loro movimento e quindi la presa del potere. In particolare l'antifascismo di area socialista definì la vittoria del fascismo come una forma di "successo seppur temporaneo della reazione economica capitalista sull'ascesa delle classi popolari"[36].

Antonio Gramsci, uno dei più importanti esponenti del Partito Comunista d'Italia, in un discorso parlamentare dichiarò:

«Il fascismo lotta contro la sola forza organizzata efficientemente che la borghesia capitalistica avesse in Italia, per soppiantarla nella occupazione dei posti che lo Stato dà ai suoi funzionari. La "rivoluzione" fascista è solo la sostituzione di un personale amministrativo ad un altro personale"»

(Gramsci, discorso alla Camera del 16 maggio 1925)

Non diverso il giudizio che - dal punto di vista liberale - esprimeva Pietro Gobetti:

«La rivoluzione fascista non è una rivoluzione ma il colpo di Stato compiuto da un'oligarchia mediante l'umiliazione di ogni serietà di coscienza politica, con allegria studentesca»

(Gobetti, Dizionario delle idee)

Nel 1936 però Palmiro Togliatti, insieme ad altri 60 esponenti del PCI, nel celebre appello ai fratelli in Camicia nera si rivolse al "fascismo della prima ora", in contrapposizione al fascismo reazionario al potere[37]:

«Popolo Italiano! Fascisti della vecchia guardia! Giovani fascisti! Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori, e vi diciamo: Lottiamo uniti per la realizzazione di questo programma»

(Togliatti, Stato Operaio)

Cronologia

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Motivo: La sezione dà già per risolta in senso affermativo la questione di fondo se il fascismo fosse o meno una rivoluzione, al punto da proporre, apoditticamente e con ridicola disinvoltura, "alcune fra le [date storiche] più significative per una comprensione più approfondita della cronologia della Rivoluzione fascista" (!).
Il Monumento dei Martiri della Rivoluzione Fascista nella Certosa di Bologna inaugurato in occasione del decennale della Marcia su Roma il 28 ottobre 1932.

Nel Primo e secondo libro della Rivoluzione fascista edito nel 1941 dal PNF, venivano indicate le date storiche della Rivoluzione (viene esclusa la fondazione del primo Fascio d'azione rivoluzionaria nel 1914) di cui si riportano qui alcune fra le più significative per una comprensione più approfondita della cronologia della Rivoluzione fascista: sono riportate alcune date fino alla fondazione di Littoria (1934).[38]

  • 15 novembre 1914: inizia le pubblicazioni il Popolo d'Italia;
  • 23 marzo 1919: fondazione dei Fasci italiani di combattimento;
  • 24 marzo 1919 fu pubblicato sul Popolo d'Italia il programma di San Sepolcro
  • 6 giugno 1919: pubblicato sul Popolo d'Italia il Manifesto dei Fasci Italiani di Combattimento
  • 3 agosto 1921: firma del Patto di pacificazione tra fascisti e socialisti
  • 7 novembre 1921: Congresso nazionale di Roma: i Fasci italiani di combattimento si costituiscono in Partito Nazionale Fascista;
  • 20 settembre 1922: discorso di Udine. Il Duce afferma la volontà fascista di assumere il governo dell'Italia e di fare di Roma «il cuore pulsante, lo spirito alacre dell'Italia imperiale»;
  • 24 settembre 1922: discorso di Cremona. Il Duce proclama: «Noi vogliamo che l'Italia diventi fascista»;
  • 24 ottobre 1922: congresso del P. N. F. a Napoli. Il Duce afferma: «Noi vogliamo diventare Stato»; e «la democrazia, forma politica del secolo diciannovesimo, è superata e che un altro regime politico governerà la società nazionale del secolo ventesimo»;
  • 28 ottobre 1922: Marcia su Roma;
  • 31 ottobre 1922: il Duce forma il Governo fascista;
  • 13 gennaio 1923: Istituzione del Gran Consiglio del Fascismo.
  • 1º febbraio 1923: fondazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
  • 3 gennaio 1925: discorso del Duce: le forze ostili al Regime sono definitivamente espulse dalla vita nazionale;
  • 26 novembre 1925: promulgata la legge sulla disciplina delle associazioni, che prevede lo scioglimento della massoneria
  • 3 aprile 1926: Legge sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro, principio e fondamento dello Stato corporativo;
  • 18 agosto 1926: discorso di Pesaro. Il Duce dichiara: «Il fascismo non è soltanto un partito, è un regime, non è soltanto un regime ma una fede, non è soltanto una fede ma religione che sta conquistando le masse lavoratrici del popolo italiano... ».
  • 9 novembre 1926: la Camera fascista dichiara decaduti dal mandato parlamentare i deputati aventinisti.
  • 21 aprile 1927: emanazione della Carta del Lavoro
  • 26 maggio 1927: discorso detto "dell'Ascensione". Il Duce enuncia la politica sociale del Regime e in particolar modo imposta la battaglia demografica per una razza prolifica e sana.
  • 9 dicembre 1928: Il Gran Consiglio — organo supremo del P. N. F. — diviene organo costituzionale dello Stato.
  • 11 febbraio 1929: Conciliazione tra l'Italia e la Santa Sede.
  • 10 novembre 1934: discorso del Duce all'Assemblea generale delle Corporazioni. Le Corporazioni fasciste «iniziano la loro vita effettiva e operante».
  • 18 dicembre 1934: il Duce inaugura la nuova provincia di Littoria e ricorda al popolo che « è l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende».

Note

  1. ^ Per esempio con il dibattito innescato dall'uscita di Intervista sul fascismo di Renzo De Felice
  2. ^ Manifesto dei Fasci italiani di combattimento, pubblicato su "Il Popolo d'Italia" del 6 giugno 1919 - Wikisource
  3. ^ Emilio Gentile, Fascismo: storia e interpretazione, Editori Laterza, 2007, p. 9.
  4. ^ Citato su un'abitazione a Bisegna, L'Aquila. Tratto dal discorso rivolto ai portuali di Bari a Palazzo Chigi il 10 aprile 1923.
  5. ^ Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario: 1883-1920, Einaudi, Torino, 1995, pp. 625-626.
  6. ^ Opera Omnia, Edoardo e Duilio Susmel (a cura di), vol. 19, La Fenice, Firenze, 1956, p. 47.
  7. ^ Legge 9 dicembre 1928, n. 2693.
  8. ^ Citato in Paolo Mieli, Tradimenti senza fine, Corriere della Sera, 11 gennaio 2017, pp. 34-35.
  9. ^ La mostra registrò oltre 4 milioni di visitatori. Fu riproposta nelle due riedizioni successive del 1937 e del 1942, in coincidenza con le ricorrenze quinquennali della marcia su Roma, non ottenendo analogo successo di pubblico.
  10. ^ Paolucci 1952, pp. 278-279.
    «Fu la prima volta allora che sentii la parola "rivoluzione". La sentii allora per la prima volta nella bocca di Balbo. Ma per me, uomo di ordine, soldato, figlio di soldato, per me rivoluzione voleva significare disordine; rivoluzione era stata quella di Francia col suo mare di sangue, o quella di Russia con le spoliazioni, i furti, le ecatombi spaventose: quella parola mi faceva paura. Fu così che quando parlai dopo di Balbo inneggiai agli stessi ideali che muovevano lui ed i suoi fidi ma asserii che avremmo potuto affermarli e raggiungerli senza alcuna rivoluzione, per vie legali. Passati tanti anni quando mi incontravo con Balbo ricordavamo sempre quel nostro contraddittorio ed egli finiva sorridendo col dire di avere avuto ragione lui con la sua rivoluzione, ma io non mancavo di osservargli che la Marcia su Roma non era stata una rivoluzione, almeno quale la paventavo io allorché egli parlava»
    .
  11. ^ Paolucci 1952, pp. 285-287.
  12. ^ Sergio Panunzio, Il fondamento giuridico del fascismo, Bonacci, Roma, 1987, p. 188.
  13. ^ “Critica Fascista”, 1º novembre 1926, pag. 39 Archiviato il 4 ottobre 2013 in Internet Archive.
  14. ^ A "sinistra". La rivoluzione fascista secondo Bottai... | Fondo Magazine di Miro Renzaglia
  15. ^ Renzo De Felice, Autobiografia del fascismo, Einaudi, pp. 136-139.
  16. ^ a b Giuseppe Bottai, Dalla Rivoluzione francese alla Rivoluzione fascista, Archivio di studi corporativi, Edizioni del Diritto del Lavoro, Roma, 1931, pp. 417-426.
  17. ^ Giuseppe Barbagallo, Mario Missori, Il linguaggio delle sentenze, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 2, 1999, pp. 91–100 (nota 11). URL consultato il 24 ottobre 2013 (archiviato dall'url originale il 29 ottobre 2013).
  18. ^ Emilio Gentile, Il culto del littorio, cit.
  19. ^ Yvon De Begnac, Palazzo Venezia: storia di un regime, La Rocca, 1950, p. 181
  20. ^ Rapporto Vaccari al Duce, in: Santo Peli, Storia della Resistenza in Italia, Einaudi, Torino, 2006, ISBN 88-06-18092-4, p. 69; Edoardo e Duilio Susmel Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze; F. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Einaudi, Torino, 1963; Gianni Oliva, La Repubblica di Salò, Giunti, 1997.
  21. ^ Antonio Fede, Appunti critici di storia recente, Ed. Coop. Quilt, Messina 1988, p. 41.
  22. ^ a b Il 20 aprile 1945, pochi giorni prima dell'ultimo disperato e vano tentativo di fuga verso la Germania, e tre giorni prima del suo ultimo discorso pubblico tenuto davanti ai fedelissimi raccolti nel cortile della Prefettura di Milano, Mussolini concesse la sua ultima intervista. Interlocutore era il direttore del Popolo di Alessandria, Gian Gaetano Cabella. In realtà, più che di un'intervista si trattò di un monologo del Duce del fascismo, quasi un suo atto testamentario. Di questa intervista dà conto il libro Mussolini. Duce si diventa, pubblicato a firma di Remigio Zizzo, Gherardo Casini Editore, Santarcangelo di Romagna, 2003 e 2010, collana Frammenti di storia.
  23. ^ Citato in: Claudio Cabona, Nicola Bombacci. Storia e ideologia di un rivoluzionario fascio-comunista, 2012.
  24. ^ Citato in: Arrigo Petacco, Il comunista in camicia nera: Nicola Bombacci, tra Lenin e Mussolini, 1996.
  25. ^ L'alpino Perón, in Paolo Valente, Porto di mare, ed. Temi, Trento 2005; Vertigine, in Paolo Valente, La città sul confine, ed. OGE, Milano 2006.
  26. ^ El Historiador - Biografias - Biografia de Peron Archiviato il 27 giugno 2016 in Internet Archive.
  27. ^ Pigna, Felipe (2008). Los mitos de la historia argentina 4. Buenos Aires: Editorial Planeta. p. 28.
  28. ^ «I bimbi che un giorno saranno ragazzi di 20 anni apprenderanno con oscura meraviglia dell’esistenza di questa esaltazione di milioni di uomini, i campeggi della gioventù, la gloria del passato, le sfilate, le cattedrali di luce, gli eroi caduti in combattimento, l’amicizia tra i giovani di tutte le nazioni rinate. Josè Antonio, il fascismo immenso e rosso. E io so che il comunismo ha, anch’esso, una sua grandezza del pari esaltante. Può addirittura essere che, tra mille anni, si confondano le due rivoluzioni del XX secolo». (Robert Brasillach, Lettera a un soldato della classe 1940)
  29. ^ Perón sul fascismo italiano: «lì si stava facendo un esperimento. Era il primo socialismo nazionale che appariva nel mondo. Non voglio esaminare i mezzi di esecuzione che potevano essere difettosi.» (Juan Domingo Perón, in Corriere della Sera, Perón, un Caudillo tra comunismo e capitalismo yankee di Sergio Romano, 29 giugno 2005)
  30. ^ Localism and Centralism in Europe: The Political and Legal Bases of Local Self-government, pagina 130; Edward Page, Oxford University Press, anno 1991
  31. ^ Luciano Lanna, Il fascista libertario, Sperling & Kupfer, 2011
  32. ^ Troy Southgate, Marcelo, Carreiro (a cura di), Tradition and Revolution, Collected Writings of Troy Sotuhgate, Artktos Media Ltd., 2007-2010
  33. ^ Donatello Aramini, George L. Mosse, l'Italia e gli storici, p. 49: « [...] la storiografia italiana, restia come detto alle categorie concettuali elaborate dalle scienze sociali, non poteva accettare per il nazismo e il fascismo la definizione di rivoluzione, concetto che, come affermava lo storico Gastone Manacorda nel criticare alcune delle posizioni defeliciane, aveva acquisito "un significato diciamo pure positivo"».
  34. ^ Aramini, cit. pp. 56 e ss.
  35. ^ Emilio Gentile, Il Fascismo in tre capitoli, Laterza, Roma-Bari, 2004
  36. ^ Francesco Luigi Ferrari, a cinquant'anni dalla morte a cura di Giorgio Campanini, Roma, 1983
  37. ^ Appello ai fratelli in camicia nera | Caos scritto, su alessandracolla.net. URL consultato l'8 ottobre 2013 (archiviato dall'url originale il 21 agosto 2016).
  38. ^ PNF, pp. 5-13.

Bibliografia

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  • Carlo Talarico, La Rivoluzione francese e l'uguaglianza dei cittadini; La rivoluzione fascista e l'uguaglianza delle categorie, Nistri-Lischi Editori, Pisa, 1933
  • Giuseppe Bottai, Dalla Rivoluzione francese alla Rivoluzione fascista, Edizioni del Diritto del Lavoro, Roma, 1931
  • Giuseppe Bottai, Il Fascismo come rivoluzione intellettuale, conferenza del 27 marzo 1924, riprodotto in Renzo De Felice, Autobiografia del fascismo. Antologia di testi fascisti 1919-1945, Minerva Italica, Bergamo, 1978, p. 171.
  • Giorgio Alberto Chiurco, Storia della Rivoluzione Fascista, Vallecchi editore, Firenze, 1929
  • Roberto Farinacci, Storia della rivoluzione fascista, Vibo Valentia, 1979, Settecolori
  • Edgardo Sulis, Rivoluzione ideale, Frenze, 1939, Vallecchi
  • Anna Panicali, Bottai: il fascismo come rivoluzione del capitale, Cappelli, Bologna, 1978
  • Paolo Buchignani, La rivoluzione in Camicia Nera. Dalle origini al 25 luglio 1943, Mondadori, 2006
  • PNF, Il Primo e Secondo Libro del Fascista, Verona, Officine grafiche A.Mondadori, 1941, ISBN non esistente. Ospitato su archive.org.
  • Berto Ricci, La rivoluzione fascista. Antologia di scritti politici, 1996, Società editrice Barbarossa.
    • Berto Ricci, La rivoluzione fascista, 2014², AGA Editrice.
  • Renzo De Felice, Breve storia del Fascismo, Mondadori, 2002
  • Renzo De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Bari, Laterza, 1969 ISBN 88-420-4595-0
  • Renzo De Felice, Intervista sul fascismo, a cura di Michael Ledeen, Bari, Laterza, 1975 ISBN 88-420-5371-6
  • Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 1965
  • George L. Mosse, Il fascismo. Verso una teoria generale, Bari, Laterza, 1996
  • Fabio Andriola, Mussolini, prassi politica e rivoluzione sociale, Roma, Fuan, 1990
  • Giano Accame, Il fascismo immenso e rosso, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 1990.
  • Giano Accame, Ezra Pound economista. Contro l'usura, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 1995.
  • Luciano Lanna, Il fascista libertario, Sperling & Kupfer, 2011
  • Raffaele Paolucci, Il mio piccolo mondo perduto, Bologna, Licinio Cappelli Editore, 1952.

Voci correlate

Collegamenti esterni

  • Programma del Partito Nazionale Fascista (1921), su instoria.it.
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